Eroine digitali e non

Quante volte vi siete sentite eroine in grado di cambiare il mondo con una firma su un portale di petizioni? Il 22 ottobre del 2010, io mi sentivo così, tanto da condividere sul Meta di quel periodo, ben tre petizioni, in cui avevo digitato il mio nome e cognome, con piglio guerriero.

 

Una delle petizioni era legata a qualcosa contro Agcom e Siae, un’altra era connessa al politico antipatico di turno e la terza la solita lotta proletaria contro lo stipendio dei politici. Naturalmente in questi dodici anni della prima non ho seguito gli sviluppi, quel politico ora è utile solo per fare una battuta, e sugli stipendi dei politici, si sa, resta una questione non affrontabile, restando saldamente tra i più alti d’Europa.

“Da quel momento posta online parole d’odio nei confronti degli uomini, confermandomi nell’idea che i social, puliti dalle illusioni, siano la tomba della rivoluzione: fanno credere a chi li utilizza di star combattendo per risanare le ingiustizie del mondo, quando in realtà fungono da sfogatoio scomposto per le frustrazioni che si consumano nel mondo reale.”

Ho letto queste parole qualche giorno fa, nel libro Il profilo dell’altra, di Irene Graziosi, suo primo lavoro, uscito lo scorso 28 aprile, e mi sono arrivate addosso con un perfetto tempismo, tra il mio rivedere l’attività gratuita sui social e la percezione che ho, ora, di certi meccanismi, specialmente quelli legati al concetto di reazione online alle ingiustizie.

A pochi giorni dalle mie firme digitali compresi l’inutilità del cedere i miei dati on line in queste petizioni, anche se sono riconosciute perché consentono un esercizio più esteso e democratico di un diritto che ha preso il via con gli schiavi impegnati nella costruzione delle piramidi nell’Antico Egitto, i quali chiedevano migliori condizioni di lavoro.

Con l’avvento dei social questa azione simbolica ha iniziato prepotentemente a sostituire le azioni concrete, ed è diventata uno strumento per offrire a una pigra platea una propria versione migliore senza lo sforzo di esserlo realmente.

Questa cosa diventa molto buffa considerando che molte persone si dimenticano che hanno una versione di sé stesse che si muove in un mondo fatto di azioni e reazioni, di osservazione diretta non filtrata da un monitor, di una rete di conoscenti e parenti che interagiscono con altri esseri umani. Vivere la propria versione progettata per i social lontano dai monitor, è una grazia che aspetta a poche elette, che sono consapevoli che esiste un limite netto tra i propri pensieri e i propri passi. Tutelano il vero nella propria intimità, e superata la porta della propria cameretta splendono, celando la fatica e il fastidio.

Non è uno sport per tutte.

Tornando al libro devo riconoscere che è utile per chi subisce i social, un romanzo da regalare a quelle conoscenti che ti mostrano la foto di qualcuna e partono con dei monologhi sulla vita altrui pensandola vera al cento per cento, senza un minimo di senso critico, regalando del tempo, che non tornerà mai più, a un’idea che offre qualcosa da comprare, che sia un prodotto o un’esperienza.

Il finale è tremendo. 

Come se un testo con un tema del genere non possa, ora, concludersi in modo geniale considerando che è stato pubblicato nel periodo di massimo splendore della lotta per i follower, immersa in una sorta di ubriacatura digitale, con guerrieri e guerriere che non si rendono conto che tra qualche mese sarà tutto in mano alle aziende con i loro influencer generati con la tecnologia CGI come Miquela ( 3 Milioni di follower), un robot di 19 anni che sostiene la causa #BlackLivesMatter, e IMMA ( 385.000 follower), fanciulla virtuale di Tokyo. 

Progetti che sicuramente sposteranno molto in alto l’asticella della reale realtà.

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