mamma ti spiego cosa è un city brand
Tempi vivaci a Jesi, a poco meno di un mese dallo spostamento del nostro baricentro che la vedrà come sede lavorativa principale, dopo venti anni a Firenze.
Neanche il tempo di scaricare la seconda furgonata che il mormorio è uno solo: le regole per la partecipazione alla tombola in piazza! Questo per i vicoli della città. Ma in rete c’è un altro argomento caldo, si direbbe bollente.
Jesi ha un nuovo logo.
Arrivato all’improvviso. Comunicato come dato per scontato, che così sarà e ciccia. Non tutti hanno dimestichezza con il MePA e pochi sanno di cosa si tratta: uno spazio in cui le amministrazioni richiedono prestazioni con un sistema estremamente trasparente. Vinsi anch’io, una semplice partita iva, un appalto qualche anno fa, per la precisione 10, per la realizzazione del sito di un museo, che aveva particolari necessità, quindi non si tratta di qualcosa di misterioso. Bisogna frequentarlo, avere le carte in regola, e proporsi. Vince chi rispetta i vari parametri in gioco, e in questo periodo in cui l’intelligenza artificiale aiuta tantissimo a scrivere un progetto, a rispondere adeguatamente a determinati requisiti, il tutto è più semplice. Quindi bisogna essere svegli!
Questo è un vantaggio per chi lavora nel digitale ed è pronto a sfruttare il potenziale di ogni risorsa che il mercato, e gli sviluppatori, offrono.
Jesi ha un nuovo logo! Scandalo.
In rete, sui social, in particolare in quello che vive florido grazie al fatto che permette di scaricare ogni tensione interna digitando la qualsiasi, la reazione non è positiva. I commenti pacati, le analisi educate si contano sulle dita di due mani a fronte di centinaia di osservazioni più o meno pesanti. Il sentimento generale è negativo, per non dire pessimo. Lavorando sui social, e con il digitale, so bene che non può bastare leggere quello che viene scritto su una piattaforma limitata, quindi decido di passeggiare per le fiere, di ascoltare e di confrontarmi con le persone che incontro. Risultato? Molti non sanno niente della questione, spallucce, i problemi sono altri, e via. Incontro anche chi è stato presente sabato alla presentazione dell’elaborato, anzi di un anticipo del tutto, a Palazzo dei Convegni, e mi viene fatto un riassunto dove il sentimento generale, anche in questo caso, è negativo.
Mamma Jesi ha un city brand.
– Què? Què saria?
Praticamente la domanda che mi hanno fatto i miei amici quando ho parlato della questione.
Jesi ora può stare sullo scaffale del supermercato dei luoghi, in un modo riconoscibile. Come la Nutella, avrà una grafica che permetterà di attrarre o di allontanare le persone, promettendo un’esperienza, offrendo qualcosa che solo la città di Jesi ha.
Si può articolare questo concetto nel mondo più glam e digital, ma alle persone va fatto comprendere che si tratta della veste, di una confezione, che propone Jesi tra le potenziali mete di un turista, ma anche di chi cerca un luogo in cui vivere dove ancora chi è dietro a un bancone ti chiama per nome, o meglio, sussurra agli altri di chi sei figlio, cosa hai fatto, quanto hai, come ti vesti… tutta quella serie di dati che i social si sognano di avere per programmare in modo mirato la loro pubblicità.
Jesi è tutta recchie.
Uno degli aspetti fondamentali di un city brand è il seguente:
L’obiettivo è convincere un pubblico specifico che la nostra città è in grado di soddisfare le sue aspettative. A tal fine, la città deve trasmettere un messaggio conciso, memorabile e credibile. Quest’ultimo punto è fondamentale: Come per un prodotto di consumo, un’iniziativa di branding della città deve essere accompagnata da politiche pubbliche concrete che sostengano la promessa di valore.
E qui il tempismo non ha aiutato la presentazione della nuova veste grafica jesina. La città pulsa per la questione Edison, in generale c’è un mal contento sociale a causa di un sistema di informazione nazionale che si basa sull’emergenza e la tensione, a questo si aggiunge la notizia delle nuove regole per la tombola, e poi le fiere che capitano in giorni lavorativi, un mix letale per una città di 40mila abitanti che in questi ultimi anni cerca di ritrovarsi, a fatica.
Jesi sta bene ma non lo sa.
Il verde abbraccia Jesi, ha delle distanze che sono percorribili a piedi, esiste una rete di volontariato amplia, ed è una città ricca di talenti. Tutte cose che negli anni probabilmente sono state date per scontato o si sono volutamente ignorate, generando una tristezza che si percepisce, a tratti è talmente tangibile che ti chiedi chi voglia che si spenga. Su una cosa Jesi però non demorde il ricordo di essere stata la piccola Milano. I tempi cambiano, le nuove generazioni hanno in mente un mondo ancor più bello di quello che lasceremo noi, e in città ancora la parte imprenditoriale è legata a una visione energivora che incatena la Jesi che vorrebbe essere a quella che non sarà più.
Jesi è futuro.
La sua dimensione permette di connettere le persone, le storie, e di fare di ogni abitante una biblioteca vivente di ricordi ed esperienze che possono solo rafforzare le ali delle nuove generazioni, ma bisogna rendersene conto. Più che di un city brand per dire ai Jesini chi sono, cosa possono fare, e perché tutto andrà bene, c’è bisogno di fermarsi, ascoltarli e condividere, accorgendosi di tutti, soprattutto di chi resta indietro, perché l’ombra della povertà non si allontana con la grafica.
Ora facciamo due conti.
C’è molta agitazione sul costo di un lavoro che vedrà un’agenzia impegnata a supportare il comune per un anno.
Lo feci presente diverse volte, da fotografa, che un’immagine curata per una città è fondamentale, e vedere raccontati eventi con foto fatte di sfuggita e controvoglia, nella comunicazione ufficiale, era praticamente un insulto, quindi ben venga qualcuno con una lente pulita e la mano ferma.
La grafica degli eventi sui canali social era un problema, perché non è condividendo direttamente un poster con diversi eventi, illeggibile dal cellulare, che si racconta cosa succede in città, ora tutto sarà sicuramente curato per essere consultabile comodamente da smartphone.
Attendo di vedere la grafica coordinata per le strade, agli eventi dedicati al turismo, e un possibile aumento della tifoseria jesina sugli spalti, visto che a me la grafica mi è parsa perfetta per una squadra calcistica, o per un golf club.
Quanto costa la comunicazione?
Tanto! Ora che si va oltre ai volantini, veramente tanto. Nella comunicazione c’è un parametro che ha un valore difficile da monetizzare: la reputazione. Questa va trattata con i guanti, quando riguarda noi, figuriamoci quando si ha l’incarico di raccontare una città, azienda.
Prediamo come dimensione quello di una piccola media impresa, dove la fadiga se sente, quanto costerebbe gestirla?
Analisi, sviluppo strategia, affiancamento, monitoraggio dati, ecc fanno minimo 2000 euro al mese, moltiplicate per 12 = 24.000 euro
Un fotografo o una fotografa dedicata la vogliamo pagare in modo misero per un anno? 1000 euro al mese? Siamo a 12.000 euro.
Una grafica o un grafico, vogliamo che si paghi cibo e affitto? 1200 euro al mese? Siamo a 14.400.
Sommate il tutto: 24.000+12.000+14.400= 50.400 più iva al 22% = 61.488 euro.
Ecco svelato il mistero.
Il lavoro ha un costo!
Se poi pensate che il fotografo o fotografa, che il grafico o la grafica, potrebbero essere a partita iva ecco che il tutto ha un costo veramente adeguato.
Non facciamo confronti con altri lavori, perché i parametri sono diversi, per il logo della Nike Carolyn Davidson venne pagata solo 35 dollari, poi l’azienda nel 1983 le donò 500 azioni, poi, dopo molti anni. Possiamo manipolare le informazioni per agevolare il nostro punto di vista, ma i fatti restano. Il lavoro ha un costo.
La comunicazione costa tanto, cara mamma, e in questo caso la spesa è poca, sperando che il risultato ci sorprenda tutti.
Consiglio la lettura di questo post lunghissimo, post su facebook, che raccoglie tutti i miei dubbi sul lavoro presentato: Punti di Vista.
A Jesi il Leone sta bene.