Si “lavora” su Instagram
“Da quando questi strumenti di condivisione della quotidianità sono entrati a far parte del naturale ciclo della vita ho notato che un aspetto non emergeva: il lavoro.
Stupita dal vuoto narrativo intorno a uno degli aspetti più importanti della vita ho tirato un sospiro di sollievo quando ho scoperto che su Instagram il lavoro c’è! Eccome se c’è!
Non mi riferisco alla narrazione di un viaggio per lavoro in un luogo esotico per firmare il contratto di una vita (foto-aereo, foto-albergo, foto-piscina, foto-dettaglio-abito-firmato, foto-aperitivo, foto-lettone-seta, foto-aereo, foto-gattino-di-casa), tanto meno all’ambito della comunicazione visiva (foto-fotografo-che-scatta, foto-fotografo-mostra, foto-di-foto…), ma all’idea di lavoro che rientra nella mia educazione: muratore, falegname, sarta, panettiere…
Pensateci bene: quanti di questi lavori in cui ci imbattiamo quotidianamente sono presenti sui social network?” [leggi l’articolo su blog di igersitalia]
Scrivevo questo nel lontano 2014, in un periodo in cui questo social, instagram, era densamente popolato da superficialità vera e simulata.
Col passare del tempo questo modo di comunicare se stessi si è trasformato in una professione, per alcune persone vissuta seriamente, per altre in modo truffaldino, acquistando seguaci e like per far credere di avere un peso su una fetta di società, al fine di guadagnare con delle collaborazioni con ditte in cui certi meccanismi non sono chiari, non sono noti.
Fidarsi non è ancora un crimine, anche se oramai si dovrebbe essere in grado di comprendere se un profilo è falsamente pompato.
Fate caso a questa coppia di dati:
10.000 followers non sono pochi, pensate che il comune di Treia, nel maceratese, nel 2017, contava 9.389 abitanti.
Osservate i contenuti del profilo e notate le reazioni.
Se una persona, o progetto, ha un seguito superiore al piccolo comune marchigiano, ma ha un numero di like poco superiore a quello di un nucleo familiare e amici, indicativamente 50… fatevi delle domande sull’effettivo valore/peso di quel villaggio virtuale.
Dopo sei anni la presenza del lavoro è aumentata, grazie anche al fatto che smartphone in grado di catturare immagini utili hanno finalmente dei prezzi ragionevoli.
Ancora poca è la cura, se non nei casi in cui si sia seguiti da ottimi curatori o si abbia una spiccata capacità personale del narrarsi, ma sono eccezioni. Quando mi riferisco a ottimi curatori intendo professionisti che non si fermano a pubblicare le immagini adatte per un catalogo da portare in qualche fiera, ma intendo persone in grado di comunicare l’atmosfera delle botteghe, dai bozzetti al finito, passando per le varie fasi di una creazione, sia essa una tazza o un abito, cercando di condividere anche le emozioni di chi l’ha acquistata, per sé o come dono.
Certo dipende molto dall’attività da seguire e dal carattere del cliente, non è semplice, specialmente quando ci si imbatte in chi si cura più del giudizio del vicino di ombrellone che di interessare una rosa maggiore di potenziali clienti, attraverso un’adeguata narrazione del proprio processo creativo, del livello della propria preparazione, del modo di affrontare determinate sfide.
Il covid e post-covid hanno portato all’attenzione, naturalmente per una mancanza di mete esotiche, di vari enti e personaggi coloro che fanno cose, che le creano modellando materiali, ed è ora un fiorire di contenuti in cui si racconta il lavoro per supportarlo, per invogliare i lontani turisti all’acquisto, ma anche qui, mi trovo davanti a televendite modellate per il contenitore che mettono in risalto il testimonial che si vanta di una qualche esperienza, lasciando nell’aria solo l’ego e qualche like a delle attività che hanno fame di visibilità.
Come fare dunque per migliorare questa situazione?
Ci vuole autocritica, volontà di mettersi in gioco, e correttezza, focalizzando il perché si sta in questo social, e farlo con onestà perché se si tratta solo per avere più like del vicino basta investire qualche dollaro e vi trovare un villaggio virtuale da mostrare, vuoto, ma con dei bei tetti rossi e con caminetti fumanti.
Un professionista non viene scomodato e vi godete a suon di pochi dollari questa gara della metrica della vanità, e con i soldi risparmiati si possono prendete due ombrelloni in spiaggia, per mettere a disagio il vicino.
Ultimamente mi è capitato di vedere la pubblicità di un detersivo per piatti che mi ha fatto ridere un sacco, per quanto sia volutamente non curato, sgraziato e banale, considerando la protagonista e l’azienda in gioco, viene naturale pensarlo voluto, specialmente tenendo in considerazione l’ironia di lei. Non avendo il televisore ci ha pensato google ha dirmi che è una collaborazione ufficiale, partita ad aprile.
Ecco, ho pensato, se vuoi metterci la faccia, fallo così, altrimenti è solo noia, che ci cola addosso, di chi attende che ripartano i voli verso mete esotiche, dove è più facile creare contenuti per instagram.
Volete sapere come funziona instagram?
Niente di misterioso, trovate nel blog dell’azienda una chiara dichiarazione d’intenti scritto da Adam Mosseri, amministratore delegato dell’azienda da fine 2018.