snapshots – istantanee dalla Gran Bretagna

Qualche giorno fa ho visitato Recanati nell’occasione di uno dei suoi mercatini dell’usato. Girando tra i vari banchini la mia attenzione è stata colpita da un piccolo album di una famiglia inglese dei primi del ‘900. Ho avuto subito l’impressione che fosse il nonno di quelli economici, di plastica, che molti di noi hanno tra i vari ricordi di famiglia, perché ne ricalca perfettamente le dimensioni, anche se l’interno è più elegante.

Sono rimasta colpita dal fatto che fosse di carta, e che all’interno ci fossero diverse foto con una sequenza divertente di un cane e di un paio di gatti, con proprietari annessi.

Ora, chi ha un animale domestico, custodisce nella memoria del suo smartphone diverse fotografie, con cui rincoglionire, nel momento opportuno, un conoscente, questo non era possibile nei primi anni del ‘900 perché lo sviluppo di una fotografia aveva un costo rilevante.

 

Chi era questa famiglia?

Purtroppo nello spazio dedicato alle didascalie non esiste un segno che possa aiutarmi, per trovare una risposta a questa domanda, ma spulciando in rete ho imparato molte cose da questo piccolo scrigno di ricordi altrui.

La prima.

L’album di istantanee ( snapshots) che ho tra le mani è la versione inglese di un’invenzione americana. Ora gli album li diamo per scontato, ma in passato, fino a metà ‘800, le famiglie avevano solo una Bibbia con uno spazio apposito dedicato alla foto di famiglia, in alcune c’erano più pagine, probabilmente per documentare il passaggio di famiglia, o i vari membri del nucleo principale, ma difficilmente una famiglia aveva una quantità di foto tali da richiedere un apposito raccoglitore. Il loro costo era notevole. Le cose cambiano grazie alla mossa vincente dell’azienda americana Kodak. Questa nel 1900 realizza la fotocamera Brownie, con la quale è facile realizzare delle foto dal lato lungo di 5cm ca. (2¼) e con un costo veramente basso: 1 dollaro che al 2018 equivaleva a 30 dollari.  A questo dato va sommato il costo basso anche della pellicola della stessa Kodak. Il risultato fu che nel suo primo anno di produzione furono vendute oltre 150000 macchine fotografiche. Kodak con la Brownie, come ogni azienda con una visione a lungo termine, voleva avvicinare i giovani alla fotografia, ma si prese l’interesse dell’intera società.

La seconda.

Osservando le singole foto ho notato che sono stampate su carta Velox, e scopro che si tratta della prima carta fotografica di successo commerciale, inventata da Leo Hendrik Baekeland che vendette poi il tutto a George Eastman, inventore dell’apparecchio Kodak, per un milione di dollari, nel 1899. Baekeland non era nuovo a idee geniali, infatti nel 1907 sintetizzò la bakelite, un materiale opaco, robusto, durevole che poteva essere modellato in qualsiasi forma. Nel 1934 Walter Dorwin Teague progettò la prima fotocamera che sfruttava le caratteristiche della bachelite, chiamata Baby Brownie.

La terza.

Le ultime foto dell’album raccontano di una gita al mare, tra Liverpool e un luogo con una strana ruota panoramica, la Rainbow Wheel, che scopro essere una delle attrazioni del parco acquatico Scenic Ry, di Backpool, una vera e propria località balneare che si affaccia sul mare d’Irlanda. Nel 1930 Blackpool ospitò 7.000.000 di vacanzieri. Ancora oggi ospita il più grande parco di divertimento del Regno Unito, il Blackpool Pleasure Beach.

Cercando di capire come mai le persone sentissero il bisogno di andare in spiaggia scopro con grande stupore che questa abitudine è nata in Inghilterra.

Nel Settecento la vacanza in spiaggia divenne popolare in quest’area, e con l’arrivo della ferrovia, non solo la nobiltà ma anche gli operai avevano il modo di raggiungere sabbia e mare, sfruttando il periodo di pausa necessaria per le aziende per le attività di manutenzione dei macchinari.

Si andava al mare soprattutto dietro indicazione del medico, infatti si pensava fosse la cura giusta per affrontare la malinconia, lo Spleen. Buffo pensare che ci fossero degli assistenti alla balneazione per signore che «immergevano le pazienti nell’acqua nel momento esatto in cui si infrangevano le onde, facendo attenzione a tenere la loro testa sott’acqua per aumentare la sensazione di soffocamento».

 

Letture consigliate:

Daniela Blei sul smithsonianmag

Ana Swanson – The Washington Post – tradotto in italiano sul Post

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